giovedì 14 luglio 2011

iCloud non è cloud computing

All'indomani della presentazione di iOS 5 e iCloud, un mio collega mi disse: "Hai visto cosa ha presentato Apple? dal loro telefonino potrai accedere a risorse di calcolo enormi!!" Ed io: "Guarda che non è così". "Sì, sì, è cloud computing". 

In effetti, con cloud computing si indicano un insieme di tecnologie che permettono sia di memorizzare/archiviare dati che di elaborarli tramite l'utilizzo di risorse distribuite e virtualizzate in rete.

iCloud permette (via internet) di memorizzare, archiviare, sincronizzare, trasferire fra i propri dispositivi dati e applicazioni, ma oltre all'elaborazione richiesta per queste operazioni, non permette di usare la potenza di calcolo di server remoti.

Come iPhone non è un telefono (ma un palmare che tra le altre cose fa da telefono), iCloud non è cloud computing.

Nella piattaforma di Apple, viene offerto agli sviluppatori (tramite le iCloud API) l'accesso ad una serie di servizi finora riservati alle applicazioni web. Si arricchisce quindi l'infrastruttura offerta da Apple ai suoi utenti, rendendo le applicazioni native migliori. Il computing, cioè le risorse di calcolo, non sono trasferite nella cloud, ma rimangono nell'hardware del cliente, ovvero nel core business di Apple: vendere hardware.

Questa è una sfida sia alle applicazioni web, sia alle altre piattaforme.

La visione del cloud computing di Google è invece favorevole alle web app: dati e applicazioni nel web, riducendo l'interfaccia utente ad un browser (vedi Chrome OS, nel quale rimane comunque una copia locale dei dati per poter lavorare senza connessione ad internet).

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